Leopardi, nello Zibaldone, manifesta una certezza: l’Italia
non è una nazione. Gli italiani erano una volta attivissimi per il loro
entusiasmo, mentre nel 1820, il poeta li trovava distratti da un specie di
sogno o di stato onirico da cui non sapevano uscire se non cercando di imitare
contesti nazionali estranei. In sostanza in Italia, secondo questa analisi,
esisteva un disconoscimento continuo e reciproco per cui nessuno poteva
emergere nel suo reale valore. Al contrario, gli stranieri non rispettano gli
altri se non per essere rispettati a loro volta, e risparmiati dalle critiche
altrui: e ci riescono. Mentre in Italia esiste la lotta del singolo contro
l’altro singolo. Pertanto, scrive Leopardi nel 1827: “Il presente progresso
della civiltà, è ancora un risorgimento; consiste ancora, in gran parte, in
ricuperare il perduto”. Era una visione laica del ritorno allo 125 riacquisizione del credito perduto nei
confronti degli altri popoli e la possibilità di tornare a diventare una
nazione. Nella raccolta di pensieri è anche affrontato l’aspetto dell’eventuale
unità linguistica nazionale. Leopardi si dichiarava assolutamente contrario all’imposizione
di una lingua. In particolare, nello specifico si riferiva alla lingua
fiorentina (“La Germania ne profitta per la libertà della sua lingua. Noi non
potremo, e prevarranno coloro che vi vogliono ristringere al toscano, anzi al
fiorentino”) e affermava che è cosa ridicola che in paese, del tutto privo di unità,
dove nessuna città e nessuna provincia sovrastava l’altra, si volesse introdurre
una “tirannia” nella lingua, la quale non avrebbe potuto sussistere senza
uniformità di costumi nella nazione, e senza la “tirannia”, cioè un governo
forte e unitario della società, di cui l’Italia era del tutto priva. Leopardi continuava a parlare delle lingue,
anche se parlava delle “nazioni state civili in antico”, perché nessuna nazione
può presentare due lingue “illustri”, come il latino e poi l’italiano che
conquistò anche le altre nazioni che divennero per qualche tempo “italiane di
costumi e di lingua e letteratura”.
Poiché niuna delle altre nazioni state civili in antico,
sono risorte a civiltà moderna e presente, e nessuna delle nazioni
presentemente civili, fu mai civile (che si sappia) in antico, se non
l’italiana. Così niun’altra nazione può mostrare due lingue illustri da lei usate
e coltivate generalmente, (come può far l’italiana) se non in quanto la nostra antica
lingua, cioè la latina, si diffuse insieme coi nostri costumi per l’Europa a
noi soggetta, e fece per qualche tempo italiane di costumi e di lingua e
letteratura le Gallie, le Spagne, la Numidia (che non è più risorta a civiltà)
ec.
Leopardi nello Zibaldone difende la lingua come patrimonio
culturale. Quindi ognuna, delle lingue via via formatesi storicamente, nasce
dalla necessità di dar specifica forma espressivo-comunicativa alla esperienza
di un determinato popolo. Ogni popolo «formando le sue cognizioni, formò
insieme la lingua», dando determinazione e caratterizzazione a quella «lingua
assolutamente madre» [746, 1500] che altro non è, appunto, se non una matrice
primitiva, a partire dalla quale - per dirla con linguaggio evoluzionistico -
l'ominide è diventato uomo.
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